Vietato dire “agile”

Il titolo è provocatorio, considerando il luogo per cui questa nota è pensata, cioè il sito della Community Agile Torino e Piemonte, ma c’è un motivo: spesso le riflessioni più fertili nascono da un brusco cambio di prospettiva.

È vero che le riflessioni sull’approccio agile alla gestione dei prodotti abbondano, in rete e in mille libri di carta, e che il mondo non è certo in ansiosa attesa di quel che sto scrivendo, però credo che ci siano due tipi di lettori per cui quanto segue può essere di qualche utilità:

  1. il curioso esploratore che è attratto dalla mitologia che la parola agile evoca e che potrebbe essere emotivamente sfidato dal titolo,
  2. chiunque viva la sfida quotidiana del lavoro agile, si chieda come diavolo sia possibile che qualcuno ci creda e provi sollievo nel leggere quel che il titolo afferma.

Inoltre: se, caro lettore, non ti identifichi nei due tipi di cui sopra, a maggior ragione vorrai arrivare fino all’ultima frase, perché in un qualche tuo personalissimo modo hai probabilmente percorso o stai percorrendo i miei stessi sentieri.

Torniamo ora al titolo con una domanda di buon senso: dal momento che la parola agile è definita da un manifesto ragionevole e virtuoso (cari lettori 1. e 2., lo conoscete, vero?), perché vietare ragionevolezza e virtù?

Obiezione facile da smontare.

Perché il manifesto è un punto d’arrivo: il risultato di un viaggio che troppo spesso è presentato, al contrario, come punto di partenza, come se nominare la meta compiendo il primo passo annullasse l’esigenza di percorrere la strada che porta alla meta stessa. Con il risultato di non arrivarvi mai.

Il divieto di dire agile non va dunque inteso come una censura dell’agilità, ma come volontà di preservarne la natura di visione del mondo, opposta a slogan da televendita che troppo facilmente e gratuitamente si fanno annunciare.

Bene, dirai forse, caro lettore, ed ora che abbiamo bandito la parola agile come fai a parlarne?

Domanda ottima.

Se ricordi la metafora del primo passo del viaggio, qualche riga fa, non ti sarà difficile scorgere la risposta: vietiamo di nominare la meta per concentrarci sulla scelta del primo passo.

Il primo passo, senza il quale il viaggio non può iniziare, è il valore.

Qualche lettore particolarmente attento e preparato potrebbe obiettare che il primo principio del manifesto mette al centro il cliente: non dovrebbe essere il cliente il punto di partenza?

No: anche il cliente è un punto di arrivo. Finché non esiste un prodotto, per cui qualcuno sia disposto a pagare in quanto ne riconosce il valore, non esiste nemmeno un cliente, se non come astrazione nella mente degli amici dell’ufficio marketing.

Occupiamoci quindi della Cenerentola del business: il valore.

Come Cenerentola, il valore va scoperto sotto la cenere della percezione: si tratta di un punto di partenza difficile (“challenging” direbbe qualche anglofono), dal momento che non è evidente con precisione di che cosa si parla e, in aggiunta, il tempo che è necessario dedicarvi è tutt’altro che trascurabile.

Chi conosce Scrum, così come altri approcci agili (ops, mi è scappato, prometto di non usare più la parola vietata), sa che a tutela e massimizzazione del valore di un prodotto è definito addirittura un ruolo apposito: il Product Owner. Chi non conosce Scrum può affidarsi all’altisonanza del nome: si tratta del prodotto fatto persona, colui che ha in mente il risultato da raggiungere e guida alla sua realizzazione.

Bene, dirai forse un po’ spazientito, ma in concreto che cos’è il valore?

Fornire questa risposta, sia in termini oggettivi misurabili sia in termini di percezione è il compito specifico del Product Owner di uno specifico prodotto: nella definizione del valore si sintetizzano visione, obiettivi economici, strategie, valori etici ed altri aspetti peculiari di quel prodotto in una ricetta unica.

Ora sei forse ancora più spazientito perché ti sembra che stia eludendo la domanda, ma se fai un passo indietro (e un bel respiro) puoi accorgerti che implicitamente la risposta è tra le righe di quanto già detto.

Il valore di un prodotto misura, qualitativamente e quantitativamente, la sua ragione di essere realizzato. Il valore è la sintesi dei motivi per cui il team che lo realizza prima ed il cliente poi credono nel prodotto stesso.

Non è rilevante se il valore del prodotto sia prevalentemente di natura economica o etica o strategica o una sapiente miscela di tutte quelle o altre componenti: ciò che conta è che il valore sia formulato opportunamente.

Il valore può essere formulato compiutamente da decine di pagine di documenti, ma deve saper convincere in non più di 30 secondi. Una o due frasi, non di più, devono essere sufficienti ad evocarlo in modo da suscitare il desiderio del prodotto.

Il valore infine va pensato come ciò che il prodotto realizza quando è nelle mani del cliente, quindi va pensato al di sopra del prodotto stesso, che è soltanto un mezzo.

Durante la realizzazione del prodotto i cambiamenti di piani e requisiti sono benvenuti (vedi il già più volte citato manifesto) proprio perché l’obiettivo non è realizzare il prodotto, mero strumento, bensì erogare valore al cliente.

Bene: siamo a giro di boa del ragionamento.

A questo punto possiamo togliere il divieto di dire agile: abbiamo individuato l’essenza dell’approccio agile (benvenuti i cambiamenti di piani e requisiti) nella differenza sostanziale tra il prodotto (punto di arrivo) ed il valore (punto di partenza) che esso eroga al cliente.

Dovrebbe essere più complicato ora fraintendere che cosa sia agile.

Nota bene che la flessibilità dei requisiti del prodotto è un aspetto essenziale dell’agilità, ma non l’unico (scorrendo il manifesto si possono trovare tutti). Questo articolo non mira alla completezza, ma a sottolineare con un ragionamento che agile non si riferisce ad una procedura che possa essere introdotta a comando (in questi casi varrebbe ben la pena di vietare la parola agile), bensì ad una visione del mondo imprenditoriale in cui tutti, team che produce e cliente che consuma, sono orientati al valore ben più che al prodotto.

Eccoci alla fine, caro lettore.

Termino il mio articolo evocando un altro pilastro dell’agilità: penso che ciò che ho scritto fin qui sia condivisibile, ma non di meno è possibile che tu non sia d’accordo.

Dove starebbe quest’altro pilastro, dirai tu?

Nella trasparenza: questo articolo non sottintende nulla e tutto è sul tavolo in bella vista in modo che possa essere eventualmente smontato, perché ciò che ha valore non è aver ragione, ma avanzare nella comprensione.

 

Luca Vettor